Tiziana Vanorio, la geofisica che ha scoperto il segreto del “sollevamento lento” dei Campi Flegrei

A 14 anni, a Pozzuoli, dove è nata e cresciuta, vive qualcosa che le cambia per sempre la vita: una crisi bradisismica. La terra si solleva sotto i piedi di 180 centimetri. Silenziosa. Lenta. Il mare si ritira, il porto diventa sempre meno profondo, i traghetti da Ischia e Procida non riescono più ad attraccare. Le case si svuotano. E dopo la deformazione della terra, arrivano i terremoti. È la crisi del 1982-84. Lei è un’adolescente. Fa parte di quella che sarà poi una generazione evacuata. Vede la disperazione delle persone e inizia a chiedersi: perché la natura fa questi capricci? Cosa c’è sotto i nostri piedi? Come funziona la Terra?
Da quelle domande nasce una passione. Studia geofisica, si specializza in fisica e meccanica delle rocce, parte per un dottorato e poi per un postdoc negli Stati Uniti. Oggi Tiziana Vanorio è docente di geofisica applicata all’Università di Stanford, dirige il laboratorio di Fisica delle Rocce in cui studia il comportamento delle rocce in condizioni estreme e, proprio mentre nuovi sciami sismici agitano i Campi Flegrei, pubblica sulla rivista Science Advances una ricerca che spiega un possibile meccanismo alla base del bradisismo flegreo: la pressione dei fluidi nel sottosuolo. Dalle sue ricerche è nata anche una startup. Si chiama Plhego, come tributo ai Campi Flegrei, è stata fondata con due italiani e uno spagnolo in Silicon Valley: «È la cosa più divertente della mia carriera».
Sviluppa un cemento geomimetico ispirato alla natura vulcanica del territorio. Una tecnologia a costi più accessibili che può dare un contributo decisivo a decarbonizzare l’industria del cemento a scala globale. «La scienza nasce dalla curiosità, ma deve servire la società. È qualcosa che ho imparato profondamente qui, a Stanford. Qui si dice understanding Earth, serving the society ».
Fin da piccola, Vanorio ha l’istinto di aggiustare tutto: apriva le cose per vedere com’erano fatte dentro. «Tappavo i buchi nei muri con un impasto improvvisato di pasta ammollata in acqua e polvere colorata dei pastelli. Ho chiesto come regalo un microscopio pensando che potessi vedere dentro le cose. Non era cosi…». Dopo la laurea alla Federico II, intraprende un dottorato tra Napoli e Parigi, poi vola in California con una borsa di studio per un postdoc a Stanford. In valigia porta con sé campioni di roccia dei Campi Flegrei. «Mi ricordo ancora quando sono arrivata alla dogana e mi hanno chiesto: cosa sono questi pezzi di pietra?». Poi torna in Europa. Inizia la sua carriera in Francia a Nizza, dove ottiene l’abilitazione come professore. Ma nel frattempo Stanford la richiama: le propone un ruolo di professore, di costruire un laboratorio, la libertà di fare ricerca e di creare il suo gruppo. Si trova davanti a un bivio. «Amo il mare e la Costa Azzurra è un luogo meraviglioso, ma ho scelto di tornare negli USA. A Stanford se hai idee e porti innovazione, ti supportano. Ti danno libertà. Tuttavia, la competizione per i fondi è serrata».
Nel suo laboratorio studia le proprietà delle rocce per applicazioni energetiche, come la geotermia, lo stoccaggio della CO? e dell’idrogeno. «Ma ho sempre avuto Pozzuoli e la ricerca per i Campi Flegrei nel cuore.» Così, dopo anni di ricerche ed esperimenti, Vanorio arriva a un risultato che cambia la prospettiva. Analizzando i campioni raccolti a Pozzuoli, dimostra che la causa del bradisismo potrebbe non essere legata a una risalita di magma o ai suoi gas, ma all’aumento di pressione dei fluidi acquosi che si accumulano nel sottosuolo. «Quando ho iniziato, non si aveva conoscenza parlava del comportamento meccanico delle rocce lì sotto. Io volevo conoscere le loro proprietà e come si deformano. Senza questi parametri, qualsiasi modello resta ipotetico. I fluidi sono lì, nei pori delle rocce. Se cambiano le condizioni, se cè più apporto, se aumenta la temperatura o se le rocce si cementano, la pressione aumenta. È come se fosse “una pentola che va a pressione”: le rocce si gonfiano e il suolo si solleva».
Comprendere attraverso la sperimentazione è assolutamente fondamentale per il metodo scientifico. Intanto continua a fare ricerca, a registrare brevetti e pubblicare su riviste scientifiche. «Oggi, grazie a una nuova “TAC” sismica che abbiamo realizzato con i colleghi sismologi dell’Università di Napoli e utilizzando oltre diecimila terremoti, è stato possibile riconoscere un’anomalia che si ripete rispetto alla “TAC” che ho effettuato con i dati della crisi del 1982-1984. Abbiamo avuto la conferma di un serbatoio geotermico sotto Pozzuoli, che si ricarica e va in pressione. Abbiamo studiato il tasso di deformazione della roccia serbatoio. È come un palloncino: più velocemente entra l’acqua, in aggiunta a fluidi magmatici, più si deforma in maniera esponenziale». I risultati saranno presto pubblicati in un altro articolo su Nature Communication. Intanto, secondo Vanorio ci sono possibili soluzioni da valutare. «Serve censire i pozzi già presenti nell’area, monitorare le falde e calcolare la pressione del serbatoio, e riaprire un dibattito serio sul dissesto idrogeologico. Per esempio, nell’area, i canali borbonici costruiti nell’ambito delle opere di canalizzazione e bonifica idraulica avviate dai Borboni a fine 1500 proprio per le continue alluvioni, dagli inizi degli anni 2000 risultano ostruiti e colmi di rifiuti, contribuendo così al rischio di esondazioni e infiltrazione d’acqua nel sottosuolo. È assurdo che nel 2025 ci sia meno lungimiranza del 1600».
Storia nella storia. Studiando i carotaggi prelevati anni prima a Pozzuoli, Vanorio e una collega mineralogista di Berkeley si accorgono di qualcosa nella struttura, ma non riescono a osservarla bene.«Abbiamo deciso di andare all’Argonne Lab, un sincrotrone in America, perché solo lì c’era la risoluzione spaziale necessaria per vedere e studiare la nanostruttura». Ed è proprio lì che scoprono la presenza di minerali fibrosi che rendono le rocce più resistenti.«La microstruttura è fondamentale. Determina come si comporta un materiale su scala macroscopica».
La collega di Berkeley, che lavorava con un professore di ingegneria, le spiega che quelle stesse fibre sono presenti nel cemento romano. Lei ha un’illuminazione, collega i puntini, ricorda le versioni di latino e il fatto che i Romani usavano proprio la cenere vulcanica di Pozzuoli, la pozzolana, per costruire il loro cemento.«Plinio scriveva che la pozzolana diventava roccia quando toccava l’acqua». Il cerchio si chiude. Da lì nasce un’intuizione: replicare quelle proprietà per creare un nuovo tipo di cemento.
Così, durante la pandemia, fonda Phlego, startup con base nella Silicon Valley, con due colleghi italiani, Alberto Salleo, professore di Materials Science a Stanford e Matteo Cargnello, professore di ingegneria chimica.
Tornerai in Italia? «Magari in pensione. Non credo che avrei fatto la stessa carriera se fossi rimasta in Italia». Il marito, che lavora specializzato in grafica scientifica ha realizzato le animazioni dell’articolo su Science.
Se chiedi cosa ha fatto la differenza nella sua vita, ti risponde: «Entusiasmo, curiosità, perseveranza. È una dote che si può allenare. E tanta generosità, che ho ricevuto e che ora provo a restituire».
Ha dedicato le sue scoperte a due mentori. Il primo è il professore di fisica terrestre a Napoli, Oliveri del Castillo, che già negli anni Settanta aveva intuito il legame tra bradisismo e fluidi.«Seguivo le sue lezioni e non capivo, perché quello che spiegava non era scritto da nessuna parte. Ma quando gli dissi: “Sono di Pozzuoli, vorrei saperne di più”, lui mi disse: “Devi andare a Stanford. Lì c’è Amos Nur”». Nur è stato il suo mentore. Il secondo. Il padre della fisica delle rocce. Oggi Vanorio cerca di restituire ai più giovani. E tra le prime cose che insegna, c’è l’ottimismo. «La scienza non ha un percorso lineare. Hai un’idea, va male, ti fermi un attimo, capisci, riparti. Molti ragazzi si abbattono. Io spesso dico: “ragazzi, non è soltanto la scienza a essere così, è la vita”. Si impara anche dalle cose non positive e ci si rialza. E poi a un certo punto, bisogna dire: domani è un altro giorno».
La Repubblica